Feste natalizie. Anche l’ovale è in vacanza e se ne è andata a nanna. Dopo che le squadre si sono affrontate per l’Heineken Cup, dopo che i rugbysti si sono massacrati ancora un poco – che pena mi facevano! – sui campi gelati spruzzati di neve apparentemente incuranti delle temperature rigide come “uomini veri” con nuvolette di vapore che si levavano dalle bocche e dai corpi accaldati, manco fossero panini o brioches appena sfornati; ebbene, approfittando di questa pausa, vorrei parlare di un regalo “ovale” che mi sono concessa per Natale.
“Tackling life. Striving for perfection” (Placcare la vita. Alla ricerca della perfezione) un libro di Jonny Wilkinson, inedito in Italia e quindi rigorosamente in inglese.
Perché Wilko? Perché lo ammiro. Fin dalla prima volta che lo vidi giocare ne rimasi colpita. Non mi riferisco al lato estetico, sebbene ovviamente non sia da sottovalutare. Rimasi colpita da una sorta di serietà, di serenità, di umiltà, di umanità che traspare dai suoi gesti, dal suo non essere una star nonostante le capacità di atleta ne facciano un rugbysta che passerà alla storia. Ha qualcosa in più, è diverso.
Spinta dalla curiosità trovai questo libro; sono solo all’inizio, ma c’è già tanto e voglio condividerlo.
Jonny – concedetemi questa confidenza – gioca nel Rugby Club Toulonnais; vive nell’assolato sud della Francia, è un introverso, un timido e gli è difficile parlare di sé, ma in queste pagine mette a disposizione, con parole che colpiscono nel profondo, la sua esperienza come persona e come sportivo sviluppata attraverso un percorso di crescita personale nel mondo del rugby. Jonny cita Einstein: “L’immaginazione è l’anteprima di ciò che può accadere”. Come fare? Possiamo aspirare ai nostri sogni usando le nostre capacità affinché si realizzino. La vita, incredibilmente, trova il modo per armonizzare ogni cosa permettendo ad ognuno di noi di concertare il tutto sebbene in gioco vi siano i desideri e le azioni individuali di migliaia di persone. Non siamo individui isolati: ogni nostra azione, ogni nostra decisione è strettamente correlata con chi ci sta attorno, che a sua volta agisce con noi. Un tutt’uno ben compatto, ma nello stesso tempo formato da tanti tasselli ben distinti (dico io: non è così che dovrebbe essere una squadra?). Non è importante sapere come funziona questo processo, abbiamo solo bisogno di avere fede che funzioni così. Se abbiamo ben chiaro dove vogliamo arrivare e come vogliamo ottenerlo, bene, a questo punto abbiamo la possibilità di realizzare un futuro imprevedibile ed indirizzare la nostra vita verso qualcosa di meraviglioso.
All’inizio del nuovo millennio – prosegue – la nazionale Inglese di rugby usciva da una sconfitta al Sei Nazioni nel 1999 contro la Scozia, e nei successivi due anni vinse ma fallì Grande Slam e Triple Crown a causa della sconfitta nell’ultima partita con la Scozia nel 2000 e con l’Irlanda nel 2001. Tutto ciò lasciò loro in bocca il gusto amaro per non aver fatto abbastanza.
A quel punto la fede nei suoi principi e su come pensava dovesse condurre la propria vita furono messi a dura prova; era arrabbiato e troppo concentrato nel non veder nulla in quelle sconfitte. A dispetto di tutto ne uscirono comunque più forti come squadra, arrivando alla vittoria di Sidney: la Coppa del Mondo del 2003. Come fu possibile? Bisogna imparare dai propri errori. La sconfitta non è altro che un insegnamento, nient’altro che il primo passo verso qualcosa di migliore – continua Jonny. La squadra inglese era formata allora da giocatori selezionati dai Club della Premiership. Lavorarono duramente. Divennero buoni amici arrivando a conoscersi l’un l’altro talmente bene che agivano sulla stessa lunghezza d’onda. L’ottimismo era diventato il loro motore. Impararono a sostenersi l’un l’altro per migliorare le proprie capacità individuali, per dare il meglio nelle loro performance, poiché tutti avevano lo stesso scopo e desideravano realizzarlo più per gli altri compagni di squadra che per se stessi.
Il 2003 fu un grande anno per i Lions.
C’è una differenza sostanziale – dice Wilko – fra “Non voglio perdere” e “Voglio vincere”. La prima è quasi una preghiera, un gesto di sottomissione verso se stessi che allontana dalle opportunità, che ci imprigiona entro i nostri limiti non permettendoci di sfruttare le nostre capacità. “Voglio vincere” è l’intenzione che ti spinge a guardarti dentro per tirare fuori la forza innata che tutti possediamo e fare in modo che le cose accadano.
Beh, che dire? Un bel siringone di fiducia ed ottimismo. Discorsi da esaltati? No. Concetti che bisognerebbe aver sempre chiari in mente in ogni momento della nostra vita. Lui li espone usando il rugby, poichè è attualmente la sua vita e tramite questo sport ha compiuto un’esperienza di crescita, ma sono concetti validi sempre e comunque perché ogni aspetto della vita – lavoro, famiglia, sport – sono comunque la vita stessa. E poi, siamo sinceri, Jonny sembra un esaltato, un guru? Non mi pare, anzi. Se ne sta buono, buono nella sua Tolone, con la sua squadra, la sua ragazza e va avanti. Jonny Wilkinson è un uomo comune, Jonny è un ottimo rugbysta e chissà cos’altro sarà quando smetterà di inseguire la palla ovale, Jonny – ho scoperto – è buddista.
Vorrei ringraziarlo per ciò che ha detto in queste prime pagine, vedrò cosa mi riserverà il resto del libro, cosa potrò imparare o cosa mi aiuterà a capire un po’ di più, perché anche se non placchiamo fisicamente un avversario su un prato, la vita la possiamo placcare comunque.