Eccomi lanciata verso la mia prima avventura ragbystica con i fiocchi. Firenze: Test match Italia-Australia. Per me è un battesimo poiché è la prima volta che vado allo stadio. Ne uscirò viva e con tutte le rotelle al posto giusto? Vedremo.
Viaggio in pullman con gli Amatori Rugby Genova. La pioggia battente ci accompagna per tutto il tragitto e l’ Artemio Franchi è tutto scoperto: l’unica speranza è non infradiciarci troppo.
Oggi Italia – Australia, partita dal risultato scontato già prima che cominciassero i test match di questo novembre . Ora che gli Wallabies hanno due sconfitte sulle spalle, beh… ci faranno neri. Una squadra giovane l’Australia, tecnica, bella da vedere ogni volta. Loro che sono terzi nel ranking mondiale, loro che sono abituati a confrontarsi con gli All Blacks, loro che il rugby lo bevono dal biberon fin da neonati insieme al latte. Noi che il rugby dobbiamo ancora scoprirlo, noi che la gente non sa cosa si perde a non gustarselo fino in fondo; Italia dove il rugby non è un alimento propinato dall’infanzia, è un piatto tipico d’oltralpe che devi cercare, scoprire, provare ad assaggiare, ma che un volta provato non se ne può più fare a meno.
Per un pelo arriviamo in tempo per l’apertura. Intorno a me lo stadio rumoreggia, mentre il mio cuore batte furioso. Un’emozione forte, intensa mi assale. In un momento di lucidità mi guardo intorno e mi chiedo: dov’è il tabellone? Ma le squadre entrano ed io sprofondo di nuovo nell’estasi: i miei ragazzi azzurri, Australia la nazionale dell’emisfero sud che prediligo e che ogni volta mi regala una marea di sensazioni. Ma oggi sono azzurra, solo azzurra.
Per la prima volta nella mia vita canto l’inno di Mameli, a squarciagola, mettendoci l’anima, vorrei metterci anche il cuore, ma non lo trovo perché è volato via chissà dove. Spero che lo staff medico delle squadre in caso di mio svenimento abbia un occhio di riguardo anche per me….
Il fischio d’inizio e si va.
Li guardo e schizzo alle stelle: vedere una partita di rugby allo stadio a questi livelli è tutta un’altra cosa. Li ho sempre visti in Tv, ed ora vedere Mirco Bergamasco, Castrogiovanni (il mio preferito), Ongaro, Elsom, Courtley Bill insomma tutti, vederli dal vivo… finalmente, so che sono uomini, veri, reali, umani.
L’Italia si dà da fare ci mette il cuore e l’impegno, ma nella mia ignoranza infinita mi sembra lenta, buona in difesa, buona in mischia chiusa, però con delle grosse pecche nell’attacco; nel rugby non ci vuole solo forza, ci vuole anche tattica e gli Wallabies ce l’hanno. Sembrano uno sciame d’api: un’unica precisa mente ma con competenze diverse. Hanno mani d’oro – forse hanno il velcro nei polpastrell – hanno gambe fatate, come quel Quaid Cooper che salta come un grillo (ops, come un canguro) là in mezzo al campo schivando l’avversario.
Dopo pochissimi minuti l’Australia è già in vantaggio con un calcio piazzato. Gli azzurri reagiscono, ci provano, ma alla prima occasione Drew Mitchell marca la prima meta dell’Australia trasformata da Berrick Barnes. Non mi piacciono i fischi dedicati all’avversario, è una cultura calcistica che non ha niente a che vedere con il rugby, ci vuole rispetto per chi hai di fronte, perché se segnano punti significa che da loro possiamo solo imparare. Per fortuna ci pensa lo speaker a sedare gli animi propensi al fischio e da lì in avanti non si sentiranno più.
Mirco Bergamasco accorcia la distanza con i canguri con un calcio piazzato fra i pali e verso la fine del primo tempo un calcio di Orquera da circa metà campo crea uno scompiglio che dura qualche minuto: l’arbitro chiede il TMO , il microfono va in tilt, lo stadio rumoreggia, io sto sulle spine, ma alla fine i tre punti ci sono.
Il primo tempo termina 9 – 13 per l’Australia: sarò sincera pensavo peggio!
Nel secondo tempo gli Wallabies ci attaccano eleganti, noi siamo lenti, facciamo errori forse banali, ma non li biasimo, non li ripudio, la strada da fare è lunga, ma ce la faremo, ci credo. Ad un certo punto Mitchell vola verso la linea di meta italiana ed io urlo “Fermatelo! Fermatelo!” qualcuno ci prova, cerca di afferrarlo e riesce a prenderlo per i pantaloncini che inevitabilmente calano. Beh, comunque lo ha fermato. Che mi abbiano sentito?
A questo punto ho trovato una pecca tecnica negli scientifici australiani: sono deboli nell’elastico delle mutande. Difetto da sfruttare, se non altro per rinfrancare gli animi del pubblico femminile.
Il cronometro cammina veloce ed il divario si fa più netto perché Barnes piazza altri calci fra i pali. Poi la magia, al 72’ Robert Barbieri raccoglie l’ovale caduto a Parisse e si butta. La meta, lasciatemelo dire, arriva come un orgasmo. Finalmente. Io grido, esulto, faccio la hola, mi viene da svenire.
Mi accorgo che i minuti che ci separano dalla fine del match sono pochi: la partita è quasi terminata ed io vorrei che durasse ancora per ore.
Poi lo smacco finale. Quando il tempo è quasi scaduto e i rugbisti di entrambe le squadre sono lì che si spingono stanchi in mischia vicino alla linea di meta dell’ Italia, Rocky Elsom se ne esce lindo, lindo con l’ovale in mano e con un’elegante corsetta ci piazza una meta, mentre gli altri sono ancora là ammucchiati e forse non se ne sono neppure accorti.
Fine. 14 a 32 per gli Wallabies. Grazie comunque ragazzi azzurri! Bravi agli australiani che sono sempre e comunque belli da vedere.
Ora sarà festa, sarà terzo tempo, ed io mi perdo nella calca. Mi ritrovo sola, sono stanca ed un po’ triste perché vorrei godermi di più quella festa, ma mi sento spaesata.
Vorrei che anche in Italia il rugby fosse sentito, amato, seguito come all’estero dove c’è un forte substrato fertile in cui il rugby affonda le proprie radici nutrendosene. Vorrei di più. Noi abbiamo ancora tanto da costruire: dobbiamo renderlo nostro, amarlo e farlo crescere senza uscire dai confini del rispetto e della correttezza.
Un ultimo pensiero, mentre rientro a Genova sotto la pioggia, una preghierina della sera: nella prossima vita voglio rinascere uomo e fare il rugbista.