Oggi non si parla d’altro che dell’atleta sudafricana Caster Semenya che ieri ha stravinto la finale degli 800 metri ai mondiali di atletica di Berlino e sui dubbi sorti intorno al suo sesso. Sono stata incerta fino all’ultimo momento sullo scrivere qualcosa a tal proposito perché fomentare queste stupide polemiche (sorte sulle dichiarazioni rilasciate dalla nostra atleta Elisa Cusma alla fine della gara, dove è arrivata sesta) mi sembra sterile e soprattutto un’inutile spettacolarizzazione a favore di sciacalli.
Credo che rilanciare e amplificare all’inverosimile su tutti i media alcune battute fatte alla fine di una gara (ma qualcuno l’ha sentita l’intervista della Cusma prima di montare tutto questo casino assurdo?) e cavalcare l’onda della polemica su un argomento così stuzzicante e pruriginoso sia facile ma altrettanto poco dignitoso. Tutti abbiamo pensato intimamente vedendola correre che Caster Semenya non potesse essere una donna. Le battute da bar sono divertenti e fanno ridere quando rimango ad un livello privato, ma pompare tutta questa faccenda a questi limiti mi provoca una sorta di fastidio e mi fa vergognare per essere stata complice involontaria di questa morbosità globale.
La Iaaf adesso farà tutti i controlli del caso (non voglio sapere come perché al sol pensiero inorridisco) per verificare il sesso della strepitosa atleta Sudafricana. Bel modo per i media di complimentarsi con una 18enne, dalle doti atletiche strepitose ma dall’aspetto decisamente poco avvenente, e strumentalizzare le parole, probabilmente non ben calibrate, di un’atleta delusa dal risultato finale della gara che ha appena disputato.
La tanto chiacchierata intervista